giovedì 30 maggio 2013

La rivoluzione del carbonio


I NANOTUBI

I nanotubi di carbonio sono stati scoperti intorno al 1985 dal chimico americano Richard E. Smalley, il quale osservò che in determinate condizioni gli atomi di carbonio sono in grado di organizzarsi in strutture ordinate di forma sferica, che dopo un successivo rilassamento tendevano ad arrotolarsi su se stesse dando origine alla tipica forma cilindrica che ritroviamo all’interno dei nanotubi in carbonio. 

rappresentazione schematica
       di un nanotubo in carbonio

superficie in grafene di un nanotubo





























 


I nanotubi in carbonio esistono in tre differenti forme: anzitutto abbiamo i nanotubi a parete singola formati da un singolo foglio di grefene arrotolato su se stesso, poi abbiamo i nanotubi a parete doppia formati dall’arrotolamento di due strati grafenici e infine abbiamo i nanotubi a multiparete formati da più fogli grafenici arrotolati coassialmente su se stessi. Di queste tre differenti tipologie di nanotubi, quelli più facili da ottenere sono gli ultimi, che non richiedono condizioni di crescita troppo particolari.
I nanotubi in carbonio possiedono caratteristiche meccaniche si altissimo livello, associate a un peso specifico (quello del carbonio) che è di molte volte inferiore a quello della maggior parte dei metalli utilizzati in campo industriale. È stato calcolato che un nanotubi può avere una resistenza alla trazione cento volto più grande dell’acciaio pesando però sei volte di meno rispetto a quest’ultimo. Senza contare che i nanotubi non presentano solo una elevatissima resistenza alla rottura per trazione, ma sono dotati anche di una buona flessibilità, dato che sono in grado di piegarsi senza rompersi o danneggiarsi fino ad angoli di 90°. L’estrema resistenza alla trazione unita alla loro flessibilità rende i nanotubi ideali per l’uso come rinforzo per i materiali polimerici, producendo nanocompositi dalle prestazioni elevatissime. Inoltre, l’uso dei nanotubi nella produzione di fibre può portare alla produzione di compositi estremamente più resistenti degli attuali compositi basati sulle fibre di carbonio tradizionali. 
 
 



        Fotografie in microscopia SEM dei                                 nanotubi in carbonio






                                                                       

                                                                                                                               
                                                                                                                                Da un punto di vista elettrico i nanotubi in carbonio possono comportarsi sia come conduttori che come semiconduttori, a seconda delle condizioni nelle quali sono stati sintetizzati. Ciò rende molto interessanti questi materiali per eventuali applicazioni nel campo dell’elettronica e dell’optoelettronica (branca dell' elettronica che studia i dispositivi elettronici che interagiscono con la luce e le loro applicazioni). Molti ricercatori del campo dell’elettronica, stanno lavorando alla possibilità di utilizzare i nanotubi in sostituzione dei tradizionali conduttori e semiconduttori utilizzati per la costruzione dei chip. Ciò in virtù soprattutto di un peculiare fenomeno osservato all’interno dei nanotubi e chiamato conduzione balistica, per il quale quando gli elettroni trasportati passano all’interno del nanotubi, questo è in grado di portare corrente senza scaldarsi. Questa particolare proprietà rende i nanotubi molto interessanti per la realizzazione di nanocavi e cavi quantici, che potrebbero affiancare il silicio nel campo dell’elettronica e consentire il passaggio dalla microelettronica alla nanoelettronica. È stato calcolato, infatti, che un processore realizzato con transistor di nanotubi potrebbe tranquillamente superare i 1000GHz di potenza superando tranquillamente tutte le barriere di miniaturizzazione imposte oggi dall’uso del silicio. Le proprietà di conduzione elettrica dei nanotubi possono essere modificate drogandoli, ossia inserendo all’interno della loro struttura degli atomi aventi le caratteristiche ricercate (un po’ come si fa con il silicio). Tra i risultati più interessanti in questo campo va citata la realizzazione di un diodo, formato da due nanotubi, che permette il passaggio di corrente solo in un senso, esattamente come nei normali diodi in silicio. La differenza fra questi ultimi e il diodo realizzato con i nanotubi sta soltanto nelle dimensioni.  La limitazione principale all’utilizzo dei nanotubi in carbonio è attualmente rappresentato dal loro elevatissimo costo, giustificato dalle complesse condizioni nelle quali devono essere sintetizzati.

mercoledì 29 maggio 2013

Verso il mondo dell'invisibile!

Sembrerà incredibile, ma grazie a scotch  e matita che è cominciata l'avventura che ha portato gli scienziati russi Andre Geim e Konstantin Novoselov a raggiungere il premio nobel il 5 ottobre di tre anni fa. Hanno passato e ripassato la mina all'interno del nastro adesivo, ottenendone particelle sempre più piccole: il grafene. Nient'altro che fogli spessi un atomo di carbonio puro: un materiale che fa parte della storia dell'uomo da centinaia di anni. Questo materiale, tra l'altro, è destinato a rivoluzionare i chip, mandando in pensione il silicio.  Tramite le applicazioni delle nanotecnologie si possono realizzare transistor su scala nanometrica e dispositivi quantistici con maggiori funzioni ( computazione quantistica ) rispetto a quelli classici utilizzati correntemente nell'industria elettronica. Se negli ultimi 50 anni l'informatica ha contribuito in modo determinante allo sviluppo, nei prossimi 50 saranno le Nanotecnologie a dare nuovo impulso all'innovazione creando nuovi materiali e prodotti dalle caratteristiche prima inimmaginabili.
Si riusciranno a realizzare oggetti molto robusti e, al contempo, estremamente leggeri; ciò sarà molto utile nell'aviazione o per costruire schermi giganti che costeranno pochissimo. Propio nella fabbricazione di schermi si vedranno con ogni probabilità gli sviluppi più rapidi. Il colosso coreano Samsung è in pole position per lanciare entro due anni i sottilissimi schermi fatti di grafene, materiale destinato a rivoluzionare anche i chip mandando in  pensione il silicio.
"Gli elettroni si muovono a una velocità straordinaria all'interno del grafene tanto che, se lo confrontassimo col silicio sarebbe come far correre una biclicletta contro una macchina di formula 1"- questo è il pensiero di Heike Riel, manager del gruppo di ricerca sugli elettroni in nanoscala all'IBM.

Touch screen al grafene
Aggiungiamo all'elenco pannelli solari e batterie ad alte prestazioni; da tutto ciò si comprende l'interesse che ci sia al passaggio dalla progettazione alla produzione industriale.
Un altro colosso, quello taiwanese della Polytron ha ultimato un prototipo di smartphone totalmente trasparente. Al momento c'è solo l'hardware e alcune parti, come la SIM, la micro-SD e la batteria sono ben visibili tra gli strati di vetro. Eppure, Polytron intende portare presto sul mercato un apparecchio perfettamente funzionante, con tanto di software «invisibile».                              Il materiale utilizzato per la struttura esterna è ovviamente il grafene. Il prototipo ha un piccolo pannello touch al centro; i vari sensori e il processore sono posti ai bordi. Altre aziende importanti stanno lavorando a dispositivi flessibili e trasparenti, come la società di telefonia giapponese NTT Docomo che, in collaborazione con Fujitsu, ha presentato qualche tempo fa il prototipo di schermo double face trasparente ed utilizzabile da entrambe le parti. Vero o presunto che sia, pure l'ultimo rumor che riguarda la Apple parla di un iPad in versione trasparente.

Progetto di un I-Pad trasparentete
Insomma, l'eredità di Steve Jobs influenza pesantemente le nuove ricerche nel campo della microtecnologia. Si cerca continuamente di migliorarsi, di creare nuovi modelli di dispositivi elettronici in grado di aumentare sia la quantità che la qualità delle prestazioni dei modelli precedenti.
In questo senso arriveremo a un mondo in cui potremo dosporre di sempre maggiori oggetti, tutti a portata di mano.
M proviamo, per un momento a immaginare come sarà il nostro futuro nanotecnologico...

martedì 28 maggio 2013

Essere 'Preda' dell'intelligenza artificiale

"[...]Gli sciami non avevano un leader e neppure un'intelligenza centralizzata. La loro intelligenza derivava dalla somma delle singole particelle. Queste si auto-organizzavano a formare uno sciame, e questa auto-tendenza all'auto-organizzazione produceva risultati imprvededibili. Era davvero  impossibile sapere come si sarebbero comportate di lì a poco [...]"

Queste sono le considerazioni di Jack, protagonista del romanzo 'Preda', che, trovandosi davanti i risultati di anni di studi nella loro sembianza peggiore, si abbandona a un torpiloquio che preferisco baipassare.
Ciò che provoca tanta rabbia e altrettanto terrore è uno sciame di nanomolecole che è fuoriuscito dal laboratorio della MediaTronics, azienda per la quale lavorava Jack, sfuggendo al controllo degli scienziati e ha cominciato ad agire in modo autonomo, e, cosa più grave, ha iniziato ad evolversi con grande velocità ed ha indivituato la sua preda: l'uomo.
Tanto per rammentare brevemente la trama del libro: Jack ha perso il lavoro ed ora è costretto a fare da balia ai tre figli. La moglie Julia è il vicepresidente della Xymos, un'azienda del Nevada specializzata in tecnologia d'avanguardia dove un equipe di scienziati sta cercando di mettere a punto una nuova teconologia medica ovvero micro-videocamere che, lanciate all'interno del corpo umano, sono in grado di effettuare diagnosi di estrema precisione.
In seguito Jack riceve una proposta di lavoro proprio dagli ex datori che consiste in una consulenza per risolvere un problema con un sistema distribuito, il predprey (predatore-preda), fornito in concessione proprio alla Xymos. Dopo essersi recato sul posto Jack fa la macabra scoperta delle microparticelle.

Uno sciame di micro robot del progetto open source swarmrobot.org.
Il caso presentato nel romanzo di Michael Crichton può essere considerato come un lite catastrofico al quale l'uomo non arriverà mai; tuttavia anche in questa terribile prospettiva si cela un interessante motivo di riflessione.
Quali sono i rischi concreti che possono portare le moderne micro-tecnologie?
Il rischio più temuto riguarda la fabbricazione dei nano-materiali ed in particolare l'esposizione degli operatori alle particelle emesse durante il processo. Inoltre, nel caso in cui questi materiali vengano utilizzati in grosse quantità, come per le vernici e gli smalti, sussiste un forte rischio di dispersione nell'ambiente delle pericolose particelle.
È stato provato che le nano-particelle possono penetrare il corpo umano attraverso i polmoni e, in alcuni casi, raggiungere il cervello;dati sulla possibilità di assorbimento cutaneo non sono invece ancora disponibili. Finora i nanomateriali sono stati così poco compresi che gli scienziati non sono in grado di predire come si comporteranno e di testare la loro sicurezza. Più di 1.000 articoli di consumo manifatturati con nanoparticelle, che possono essere fino a 100 volte più piccole di un virus, sono già sul mercato, nonostante la quasi totale assenza di dati certi sui pericoli che comportano per .la salute umana e l'ambiente. E mentre queste particelle atomiche possono essere un beneficio in alcune applicazioni mediche, scienziati e ambientalisti richiedono maggiori studi. Fino ad oggi sono pochi gli effetti nocivi riscontrati di questa nuova tecnologia virtualmente non regolamentare. Ma questa mancanza potrebbe essere dovuta proprio agli scarsi studi che sono stati condotti nella fretta di trovare un sempre maggior numero di applicazioni nanotech redditizie. Insomma, neppure tra l'elite di scienziati c'è una completa armonia a proposito dei possibili danni che le nanotecnologie potrebbero causare sia all'uomo che all'ambiente. Sono necessari ulteriori studi e approfondimenti che certifichino il reale pericolo che  le moderne applicazioni elettroniche possono provocare. Solo il tempo risolverà tale dubbio; intanto è necessario continuare a studiare e finanziare la ricerca in tal senso al fine di renderla più sicura possibile, affinche cioè l'uomo o la natura non ne diventi la PREDA principale.
Ora parola agli esperti...


mercoledì 22 maggio 2013

I transistor

I transistor vengono impiegati in ambito elettronico, principalmente, come amplificatori di segnali elettrici o come interruttori elettronici comandati da segnali elettrici ed hanno sostituito praticamente quasi del tutto i tubi termoionici (valvole). Il termine transistor deriva da "TRANSconductance varISTOR". Il primo transistor fu realizzato con punte di contatto e aveva le dimensioni di circa un centimetro. Fu costruito negli Stati Uniti nel 1947 da Walter Brattain, che insieme a William Shockley e John Bardeen ricevette il premio Nobel per la fisica nel 1956, con la motivazione: "per le ricerche sui semiconduttori e per la scoperta dell'effetto transistor". Il primo tipo di transistor sperimentato e poi prodotto fu il transistor bipolare o BJT , in cui sia elettroni che lacune contribuiscono al passaggio della corrente. In seguito furono creati altri tipi di transistor, in cui il passaggio di corrente avveniva grazie ad un solo tipo di portatori di carica (o elettroni o lacune), detti FET, acronimo di Field Effect Transistor.Sia i FET che i BJT, nel tempo, hanno dato origine a molti tipi diversi di transistor, usati per gli scopi più svariati. I transistor generalmente hanno tre piedini (pin) denominati: BASE, COLETTORE e EMETTITORE ed hanno due tipi di polarizzazione NPN e PNP.


POLARIZZAZIONE DEI TRANSISTOR
Nei transistor NPN il positivo di alimentazione va applicato sul collettore e il negativo all' emettitore e a massa.Nei transistor PNP il positivo di alimentazione va applicato all' emettitore e a massa e il negativo al collettore.
In questo contesto tre parole chiave sono:
- Zona attiva diretta: quando la giunzione base-emettitore è polarizzata direttamente e la giunzione base-collettore inversamente.
- Saturazione: quando entrambe le giunzioni sono polarizzate direttamente.
- Interdizione: quando entrambe le giunzioni sono polarizzate inversamente (e quindi il transistor non conduce).

LE TRE CLASSICHE CONFIGURAZIONI
In genere si è soliti amplificare un segnale applicando il transistor sulla Basa e prelevandolo dal Collettore.
Questa però non è l'unica configurazione possibile, di seguito vi elencherò le più usate:
-Common Emitter (Emettitore comune)
In questa configurazione il segnale da amplificare si applica sulla Base e il segnale amplificato si preleva dal collettore. Così configurato una piccola variazione di corrente sulla Base determina un'ampia variazione di corrente di Collettore. Il segnale amplificato che si preleva sul Collettore risulta sfasato di 180 gradi rispetto a quello applicato sulla Base in pratica la semionda positiva si trasforma in negativa e quella negativa in positiva.
Transistor- configurazione a emettitore comune

-Common Collector (Collettore comune)
In questa configurazione il segnale da amplificare si applica sulla Base e si preleva dall' Emettitore. Poiché questa configurazione non amplifica viene usata come stadio separatore per convertire un segnale ad alta impedenza in un segnale a bassa impedenza.   Il segnale che si preleva sull' Emettitore non risulta sfasato e la semionda positiva applicata sulla Base rimane positiva sull'uscita dell'emettitore, e la semionda negativa applicata sulla Base rimane negativa sull'emettitore.
transistor- configurazione a collettore comune.

-Common Base (Base comune)
In questa configurazione il segnale da amplificare si applica sull'Emettitore e si preleva sul Collettore. In questa configurazione una piccola variazione di corrente sull'Emettitore determina una media variazione di corrente sul Collettore. Il segnale che si preleva dal Collettore non risulta sfasato, cioè la semionda positiva e la semionda negativa che entrano sull' Emettitore si prelevano in uscita dal Collettore nuovamente positiva e negativa.
Transistor- configurazione a base comune


Come già detto in precedenza il transistor è un dispositivo che amplifica in corrente, quindi una piccala variazione di corrente sulla base darà come risultato una elevata variazione di corrente sul collettore (configurazione common emitter). Ovviamente per svolgere al meglio le sue funzioni il transistor ha bisogno di essere integrato da altri componenti che determineranno il grado di polarizzazione, il guadagno, e la qualità del risultato finale. Tra questi componenti i più usati sono le resistenze, nel progettare stadi a transistor bisogna temere in considerazione alcuni parametri molto importanti quali  Tensione, Corrente, Resistenza, Impedenza.



lunedì 20 maggio 2013

IBM e il progetto di un cervello digitale

In un’impresa senza precedenti, IBM e cinque prestigiose università hanno avviato una collaborazione per la creazione di sistemi di calcolo che dovrebbero simulare le capacità di sensazione, percezione, azione, interazione e cognizione del cervello umano. La quantità di dati digitali cresce all’allarmante tasso del 60 per cento ogni anno, offrendo alle imprese l’accesso a nuovi incredibili flussi di informazioni. Ad ogni modo, senza la capacità di monitorare, analizzare e reagire a queste informazioni in tempo reale, la maggior parte del valore può andare perduto. Fino a quando i dati non vengono acquisiti e analizzati, le decisioni e gli interventi possono essere ritardati. Il “cognitive computing” offrirebbe l’opportunità di realizzare sistemi in grado di integrare e analizzare vaste quantità di dati da molte fonti in un batter d’occhio, consentendo alle imprese o ai singoli individui di prendere decisioni rapide in tempo per ottenere vantaggi significativi.
Il progetto, finanziato per una cifra di quasi 5 milioni di dollari dalla DARPA (Defense advanced Research Projects Agency) per la sola fase iniziale, rientra nel programma chiamato Synapse (Systems of Neuromorphic Adaptive Plastic Scalable Electronics) e durerà circa 9 mesi, ultimati i quali dovrebbe essere completato il primo computer in grado di ricreare capacità proprie del cervello umano: percezione, cognizione, azione ed interazione, simulandone anche l'efficienza, la rapidità di calcolo e gestione di numerose informazioni in simultanea, nonché i bassi consumi.
 "La mente ha la straordinaria capacità di integrare informazioni tratte da una varietà di sensi, come vista, udito, tatto e olfatto e può creare categorie di spazio, tempo e interrelazioni senza fatica" ha dichiarato Dharmendra Modha, manager dell'iniziativa di IBM. "Attualmente non esistono computer che possano anche solo avvicinarsi in maniera remota alle sue capacità. La mente nasce 
dalla complessità del cervello". L'obbiettivo finale è quello di smentire categoricamente  questo tipo di affermazione.
Ispirandosi alla struttura, alla dinamica e al comportamento del cervello, il team di ricerca impegnato nel progetto si propone di rompere il paradigma di macchina programmabile convenzionale. Sostanzialmente, si spera di eguagliare il basso consumo energetico e le dimensioni ridotte del cervello, utilizzando dispositivi in nanoscala per sinapsi e neuroni. Questa tecnologia potrà portare alla realizzazione di architetture di calcolo e paradigmi di programmazione totalmente nuovi. L’obiettivo finale è poter disporre di computer onnipresenti, dotati di una nuova intelligenza in grado di integrare informazioni provenienti da svariati sensori e da svariate fonti, di gestire l’ambiguità, di rispondere in modo dipendente dal contesto, di apprendere nel corso del tempo e di eseguire il riconoscimento di modelli, per risolvere problemi difficili basati su percezione, azione e cognizione, in ambienti reali complessi.


La proposta di IBM “Cognitive Computing via Synaptronics and Supercomputing (C2S2)” traccia le linee della ricerca che sarà condotta nei prossimi nove mesi, in aree quali sinaptronica, scienza dei materiali, circuiti neuromorfi, simulazioni con supercomputing e ambienti virtuali. La ricerca iniziale sarà incentrata sulla dimostrazione di dispositivi simili alle sinapsi, a basso consumo, su nanoscala e sulla scoperta dei microcircuiti funzionali del cervello. La missione a lungo termine di C2S2 è realizzare computer cognitivi compatti, a basso consumo, che si avvicinino all’intelligenza dei mammiferi.
Di recente, il solo team IBM di cognitive computing ha dimostrato la simulazione in tempo quasi reale sulla scala del cervello di un piccolo mammifero, utilizzando gli algoritmi di calcolo cognitivo con la potenza del supercomputer BlueGene IBM. Con questa capacità di simulazione, i ricercatori stanno sperimentando varie ipotesi matematiche della funzione e della struttura cerebrale, lavorando alla scoperta di micro e macro circuiti computazionali essenziali del cervello.
Questo progetto, avviato nell'ormai lontano 2008, è destinato a "digitalizzare" ulteriormente il nostro stile di vita che sarà sempre meno operativo e, d'altro canto, sempre più condizionato dalla realizzazione di automi digitali. Un modello a lungo termine che ci permetterà di progettare apparecchiature nano meccatroniche sempre più sofisticate in grado, come si è appena visto, di ragionare con una velocità e un' efficienza straordinaria, lontana anni-luce dalle facoltà umane.

"Today we stand poised on the brick of a new era of computing in which tecnology is more consumable, insight-driven and cognitive. IBM Research is exploring and developing the enabling tehnologies that will transform the way computers are used." 
(Ginny Rometty; IBM president and CEO)

         IBM Research - Zurich, IBM Client Center, Roadshow 2013, SyNAPSE, cognitive computing

giovedì 16 maggio 2013

La guerra (micro)tecnologica

Sono prospetive ben poco fantascientifiche quelle segnalate da un recente approfondimento di Wired, sullo stato dello sviluppo della micro e nanotecnologia applicata agli apparati e ai dispositivi bellici in evoluzione costante. E se manca ancora qualche anno alla realizzazione del robo-calabrone antiterrorista a cui sta lavorando Israele, i Micro Air Vehicle assassini sono già  tra noi.                                                                                                                       C'è ad esempio il Wasp, micro mezzo aereo di 41 centimetri e di soli 275 grammi di peso, già in ricognizione sui pericolosi cieli del mai pacificato Afghanistan. Si controlla con un radiocomando che sembra un Gameboy, ed è quasi impercettibile tanto da potersi avvicinare all'obiettivo senza essere notato. È in sviluppo una nuova versione, già ribattezzata "Talibanator", che permetterà di inserire esplosivo C4 sul mezzo, in modo da colpire cecchini ben appostati o contrattaccare eventuali azioni kamikaze.                                                                Negli States, l'Air Force pensa a munizioni microscopiche, pensate per sfiancare le forze nemiche o colpirne i punti nevralgici per renderle inoffensive. Un MAV appositamente progettato potrà agevolmente montare queste micro munizioni e depositarle direttamente nel centro di comando o dentro i fortini dei nemici.

Si pensa in particolare ad apparati anti-elettronici, in grado di rilasciare una nuvola di microfibre ricoperte da uno strato metallico per paralizzare le comunicazioni. Qualcosa di simile alle armi usate dalle forze alleate e americane sulle centrali elettriche serbe durante la guerra del Kosovo, ma portate a destinazione da mezzi quasi invisibili piuttosto che da aeri dal costo di milioni di   dollari.                                                  È sostanzialmente inutile, dicono infatti alcuni esperti, fronteggiare la moderna milizia abituata a combattere in scenari complessi come quelli delle disastrate metropoli mediorientali con il dispiegamento di mezzi da battaglia potenti, costosissimi e difficili da adoperare senza recare danni alla popolazione civile. Meglio in questo caso usare qualcosa come le formiche da battaglia, piccoli robot in grado di fare danni limitati se presi singolarmente, ma letali nell'effetto di un attacco cumulativo. Ci sono anche gli aghi velenosi, tanto pericolosi da essere banditi dai trattati ma che la CIA ha usato sin da 1950 e che non sono di certo spariti dalla circolazione.     
Una prospettiva che si fa sempre più vicina, tanto da suscitare congetture sui possibili effetti dell'utilizzo dei Micro Air Vehicle da parte dei terroristi internazionali: "Dopo un periodo iniziale di sviluppo, molti paesi potrebbero produrli" ha detto Juergen Altmann, ricercatore della Dortmund University, che mette in guardia sull'uso indiscriminato dei micro-mezzi da guerra di nuova concezione, potenzialmente in grado di causare vittime fra i civili o di finire per dare una mano ai terroristi che dovrebbero invece aiutare a debellare. Assassinii politici mirati, trasporto di armi biologiche all'interno di infrastrutture protette, i possibili scenari sono molteplici: anche per questo, Altmann propone di bandire a livello internazionale i MAV e le nanotecnologie applicate alla guerra, alla stregua delle misure già prese contro le mine antiuomo. Per ora, ad ogni modo, lo sviluppo delle macchine da nano-guerra procede veloce e indisturbato.
Ed ora fossi in voi occuperei i miei prossimi due minuti a osservare attentamente il video seguente, in quanto ci si può rendere conto di quanto lontana e quanto velocemente sta andando la moderna microelettronica applicata alla robotica, che ha permesso di creare geniali automi come questa libellula.
Buona visione! 

Spider: la molecola che si comporta come un nanorobot

Un gruppo di ricercatori è riuscito a costruire un "robot" molecolare costituito da sequenze di DNA che è stato in grado di mettersi in movimento, spostarsi, girarsi, raggiungere una meta e fermarsi in modo programmato e autonomo. Questo risultato potrebbe portare, sia pure in una prospettiva ancora molto lontana, a sistemi molecolari che potrebbero essere utilizzati a fini terapeutici, ossia a robot nanometrici riconfigurabili e capaci di riconoscere l'ambiente in cui vengono a trovarsi, per esempio marcatori patologici, prendere una decisione, come neutralizzare la cellula che porta quel marcatore e quindi attuarla, cioè "consegnandole" un farmaco citotossico.
  
Per ottenere il loro risultato - i ricercatori hanno dovuto affrontare un problema apparentemente insormontabile, quì riportato in una dichiarazione di Nils G. Walter, dell'università del Michigan rilasciata a Ann Arbor: "Nella robotica normale, il robot stesso contiene la conoscenza relativa ai comandi, ma con singole molecole non possiamo immagazzinare quella quantità di informazione: così l'idea è stata quella di immagazzinare l'informazione sui comandi all'esterno". Ossia, come ha aggiunto Milan N. Stojanovic della Columbia University, "impregnando l'ambiente della molecola con indizi informativi".        "Siamo stati in grado di creare questo ambiente 'programmato' usando un origami a DNA" spiega Hao Yan, della Arizona State University. Detto in parole più semplici un origami a DNA è un tipo di struttura autoassemblata costituita di DNA che può essere programmata per formare strutture di tipo e forma pressoché illimitato. Sfruttando le proprietà di riconoscimento della sequenza e accoppiamento delle basi della "molecola della vita", gli origami a DNA sono creati da un singolo lungo filamento di DNA e da una miscela di corti filamenti di DNA sintetico che legano e "graffano" il filamento lungo in modo da fargli assumere la forma voluta. L'origami usato nello studio era costituito da un rettangolo di centro nanometri di lato per uno spessore di due nanometri. Il robot molecolare usato dai ricercatori - soprannominato "Spider" - era stato inventato già alcuni anni fa da Stojanovic, che all'epoca era riuscito a fargli compiere una "passeggiata" su una superficie, ma del tutto casuale e non programmata.  "Spider" è invece ora stato in grado di camminare su un substrato creato con un origami a DNA per dirigersi nel punto desiderato dai ricercatori. Il robot molecolare, che ha un diametro di quattro nanometri, è dotato di tre "zampe" di DNA enzimatico, ossia il DNA che cuce e taglia una particolare sequenza di DNA. Il robot ha poi una quarta "zampa", un filamento di start, che aggancia Spider al sito di partenza (un particolare oligonucleotide dell'origami a DNA). "Dopo che il robot è rilasciato dal sito di partenza da un filamento di innesco, segue la sua traccia legandosi e poi tagliando i filamenti di DNA che si estendono al di fuori dal basamento lungo la traccia", spiega Stojanovic. In questo modo Spider è guidato lungo il tracciato desiderato dai ricercatori e alla fine "si ferma quando incontra un frammento di DNA che lo lega ma che non può tagliare". "Camminatori" a DNA erano già stati progettati, ma finora nessuno era stato in grado di compiere più di tre passi.                     Questo, invece, può camminare per oltre 100 nanometri, circa 50 passi.                                                                                             

                                                                                                

martedì 14 maggio 2013

L'arte dell'invisibile: la Nanoart

“Nano-arte è il superamento di una frontiera, di un confine, di una necessità: qeulla dell’arte visibile  e percepibile dell’occhio umano. Nano-arte gioca sul paradosso estetico di esporre idee, concetti e opere d’arte invisibili, ma non per questo inesistenti o irreali”.

Questa è la definizione di nano-arte che compare nella homepage del sito Nanoarte.it dove, tra e altre cose, si possono ammirare delle eccellenti opere.
 La Nano-arte si associa allo sviluppo delle moderne nanotecnologie in quanto si pone al centro della capacità virtuale e immaginaria dell'arte, la moderna necessità di rendere 'visibile l'invisibile' superando le barriere della percezione naturale. L'avvento delle nanotecnologie ha significato anche a messa a punto di nuove tecniche di visualizzazione di strutture che le nuove tecniche di indagine mettevano a punto. Non più sobrie equazioni matematiche ma immagini colorate, tridimensionali: delle vere opere d'arte.
Il connubio tra scienza e arte ha portato alla scoperta di nuove frontiere visive, ovvero quelle di concepire l'arte che c'è ma non si vede.. Quella che nasce dalla  'collisione dell’arte con la nanotecnologia' per creare un universo estetico a
 livello infinitesimo.
Bill Smith, USA, 2012

 Le opere realizzate con la collaborazione del Politecnico di Torino sfuggono alla visione, si negano all’osservazione diretta; a quelle dimensioni, l’occhio bulimico contemporaneo, sollecitato da una crescita ipertrofica degli stimoli visivi, non può in alcun modo arrivare. Tuttavia la nanoarte non vuole estromettere l'occhio dalla visione dell'esperienza artistica; vuole, al contrario, porre l’accento su una visione, e più in generale un rapporto con l’arte, non superficiale ma più attenta e approfondita, una percezione che vada oltre l’occhio e coinvolga in misura preponderante l’organo che più di ogni altro ci permette di osservare e interpretare il mondo, il cervello.
La Nanoarte intende proporre un esplicito processo di ridimensionamento dell’arte contemporanea: un’espressione artistica che rinuncia al gigantismo,alla
Bjoern Daempfling, Germany, 2012
grandeur dell'arte contemporanea, al protagonismo, all’esibizione e alla provocazione fini a se stesse, all’impoverimento dei contenuti. alle velleità del mercato, allo strapotere dei critici e delle gallerie; stiamo parlando di un’arte che prova ad eliminare tutto il superfluo per esaltare quelle che per noi sono le caratteristiche indispensabili dell’espressione artistica: la capacità non solo di sorprendere e meravigliare, ma di far riflettere, di proporre la visione del mondo da un’angolatura diversa, di andare oltre la superficie patinata delle immagini, di suscitare sentimenti, perplessità, dubbi e delle opere sfruttando i limiti e le potenzialità dell’essere umano.

Il Politecnico di Torino ha da tempo intrapreso questa nuova strada, attraverso studi, progetti e mostre; il tutto portato avanti dai riceratori del dipartimento di fisica come Alberto Tagliaferro e il professor Fabrizio Pirri in collaborazioni con maestri designer quali Alessandro Scali. Il designer ha il compito di occuparsi della progettazione dell'opera, che sarà successivamente realizzata dal Politecnico. 
Passiamo ora all'analisi di alcune opere concrete realizzate proprio grazie alla collaborazione con il Politecnico di Torino che sono state esposte in una mostra intitolata 'Nanoarte' allestita all'osservatorio di Pino Torinese.

Dimensione attuale è un artefatto  che consiste in una 'nanolitografia' del continente africano di 300 x 280 nanometri su una piccola superficie metallica di circa 2 cm per 2. Per l'occhio umano, l'opera è totalmente inaccessibile. Per riuscire a visualizzarla dovremmo disporre di un microscopio elettronico a scansione.


Passiamo ora a esaminare una serie di impronte micrometriche impresse su un wafer di silicio. L’opera, intitolata Oltre le colonne d’Ercole, intende simboleggiare il superamento di un limite, quello della visibilità a occhio nudo e della percezione legata ai sensi, e soprattutto i primi passi dell’essere umano e in particolare dell’arte nell’universo dell’infinitamente piccolo. Anche dal punto di vista delle dimensioni possiamo parlare di primi passi: in confronto alle dimensioni nanometriche di Dimensione attuale, si potrebbe dire che Oltre le colonne d’ercole è un’opera gigantesca: le impronte sono grandi qualche micron, e nel complesso la passeggiata è lunga circa 2 centimetri.
È solo grazie alle quattro immagini in bianco e nero ottenute con un FESEM che è possibile mettere in luce i dettagli: su un paesaggio che appare lunare si distinguono chiaramente i segni degli scarponi lasciati da qualcuno, ma non solo, si riconosce la pressione esercitata dal peso del corpo sul terreno.

Non ci resta ora che fare un ultimo esempio. Tra gli artefatti realizzati recentemente ce n’è uno dedicato nello specifico a Maurizio Ferraris . L’opera si intitola Artwork e consiste in una frase litografata su un wafer di silicio che recita: 'This is not an artwork'. In altre parole, in questo caso l’intento è quello di creare una sorta di contraddizione o cortocircuito interpretativo.
Se quindi ogni opera, presa singolarmente, cerca di offrire un nuovo punto di vista sul mondo, un’interpretazione dell’esistente, è altrettanto vero che a livello generale uno degli obiettivi di queste opere d’arte invisibili è quello di mettere in discussione uno degli assunti fondamentali dell’arte e dell’estetica: la dittatura dell’occhio.

Se pensate che questo argomento sia interessante e meriti uno sviluppo ulteriore vi invito a consultare il sito seguente: 
www.Nanoart21.org
e alla visualizzazione di questo video:

 

giovedì 9 maggio 2013

Nanotecnologie in pellicola

E' giunto il momento di riportare alcuni esempi di pellicole cinematografiche nelle quali appaiono le tematiche tecnologiche che stiamo affrontanto in questo blog. Il principale settore cinematografico in cui compaiono androidi, mutanti o macchine sofisticatissime è certamente quello della fantascienza, che racchiude in sè il progresso scientifico-tecnologico con i suoi pregi e i suoi difetti.
Incominciamo la nostra carrellata con un film che ha fatto la storia del cinema mondiale: 'Star Trek', una saga di fantascienza americana, creata da Gene Roddenberry, apparsa per la prima volta sul grande schermo a partire dal 1966.
Da 'Star trek: the  next generation' in poi, la tecnologia delle nanomacchine autoreplicanti (dette "naniti") è utilizzata in modo estensivo per numerose applicazioni, a partire dalla medicina. Alcuni degli episodi della serie televisiva sono incentrati sui naniti, che in un caso, in seguito a un esperimento didattico di Whesley Crusher andato fuori controllo, diventano una nuova forma di vita senziente. I Borg, nemici della Federazione, a loro volta usano nanomacchine, dette nanosonde, per assimilare forzatamente gli individui catturati nel proprio collettivo.


                                         scena tratta da "star trek"
 
 La nanotecnologia appare diverse volte nelle serie televisive 'Stargate SG-1' e 'Stargate Atlantis', ispirati alla serie Stargate andato per la prima volta in onda negli USA nel 2004, sotto forma rispettivamente di replicanti e Asuriani. Questi ultimi erano macchine simili ai replicanti ma finemente progettate a scopo di distruzione. In Stargate Atlantis un nanovirus terrorizza con visioni le sue vittime prima di ucciderle.
I Replicanti della serie 'Stargate SG-1', a loro volta, sono una potente forma di vita cibernetica composta da infiniti blocchi di costruzione tenuti insieme da un avanzato livello di nanotecnologia.   Il loro principale scopo consiste nell'espandersi per l'universo aumentando in maniera esponenziale il proprio numero assimilando qualsiasi forma di tecnologia avanzata. Generalmente le loro aggregazioni sono insettiformi, ma compariranno anche dei Replicanti umanoidi. Sono ostili nei confronti di tutte le forme di vita organiche dell'universo.

                                   le navicelle spaziale di "Stargate SG-1"
 
Un altro film copertina per quanto riguarda le nanotecnologie avanzate è 'Transformers', film fantascientifico del 2007 diretto da Michael Bay, che propone un conflitto fra due diverse "razze" aliene che trasferiscono le loro ostilità sulla Terra alla ricerca di una potente fonte di energia, chiamata Allspark. Le due razze prendono il nome di Autobot, originari del pianeta Cybertron, e Decepticon.


  

Le macchine mutanti di "Transformers"




L'industria cinematografica sta fortemente indirizzando i propri progetti verso una sempre maggiore produzione di film a grande impatto innovativo e tecnologico, alla ricerca della rappresentazione di un ipotetico futuro fatto di macchine sofisticatissime e androidi digitali.
In tal senso, numerose altre pellicole, quali 'Iron Man', il precursore del moderno 'The Avengers', 'Matrix' o 'Blade Runner', in cui le micro macchine compaiono sotto le più svariate sembianze, dai Borg ai Naniti, dagli Autobot ai Repplicanti, tutte forme di macchine ad elevata precisione a livello nanotecnologico.

mercoledì 8 maggio 2013

Nanotechnology in comics

Quando non sono sufficienti video, presentazioni o testimonianze di esperti per farci comprendere e entrare pienamente nel mondo digitale delle nanotecnologie, ci pensano i fumetti. Si tratta di un modo alternativo, leggero e, talvolta, divertente per spiegare concetti altrimenti complicati da concepire.
Attraverso i comics il lettore conosce personaggi immaginari, vive avventure da intrattenimento ma, nello stesso tempo, recepisce i messaggi che le figure trasmettono.
Il primo fumetto che presento è di Jack McGuian e s'intitola 'Nanotech', ovvero la storia di Mike, metà umano e metà macchina nanotecnologica.

Jack McGuigan and Jethra Morales, "Nanotech", 2007, USA, Marvel ediction

'New Gen' è una moderna saga che si fonda sulla presenza costante e lo sviluppo di robot di grandi dimensioni o macchine mutanti con, alla base, sofisticati meccanismi nano hi-tech, che ricordano molto le macchine riprodotte nei moderni film, quali 'Transformers', 'Green Lantern' e 'Iron man'.




Senza dimenticare celeberrimi personaggi come Spiderman, Superman o Batman, derivanti dalla ingente sperimentazione genetica e micro tecnologica.








E per finire alcune vignette di stampo tecnologico, condite con un fine english humor.





   















                                       
Buona lettura!!!!
                       

domenica 5 maggio 2013

Le tecniche nanoscopiche

Gli strumenti e le applicazioni pratiche in laboratorio

Il principio fondamentale su cui si basa il metodo  scientifico è l'osservazione; quando ci si occupa di nanotecnologia il punto di vista della realtà cambia notevolmente, è necessario proiettarsi in un mondo totalmente diverso da quello visibile ai nostri occhi, per farlo, la scienza ha messo a disposizione tutta una serie di strumenti sempre più avanzati che hanno permesso da prima di osservare la materia su scala nanoscopica e successivamente di modificarla.
In principio fu il microscopio ottico a permettere di avvicinarsi al mondo dell'invisibile, e poco importa se tale scoperta sia da attribuire a mano olandese o alla genialità del Nostro Galileo Galilei, quel che appare realmente importante è l'aver realizzato uno strumento unico ed indispensabile per ogni moderno scienziato.
La massima potenzialità del microscopio era ancora lontana dall'essere espressa nella sua forma migliore.
Il passo successivo arrivò nel 1931 con la realizzazione del microscopio elettronico, il quale sfrutta la risposta di un campione alla stimolazione con un fascio di elettroni. Si raggiunge così una risoluzione di gran lunga superiore rispetto a quella offerta dalla microscopia ottica. Per definizione, il potere risolutivo è indicato come la più piccola distanza tra due punti che permette di vedere i due punti come distinti. Esistono due grandi famiglie di microscopi elettronici:
Microscopio TEM
SEM (Scanning Electron Microscope), microscopio a scansione elettronica , in cui un fascio di elettroni colpisce il campione per tutta la sua superficie secondo una progressiva scansione. Il campione sollecitato dal fascio elettronico emette elettroni secondari che vengono rivelati ed interpretati da un sofisticato sistema di elaborazione dati che traduce il segnale elettrico in un'immagine digitale;

TEM (Transmission Electron Microscope), microscopio a trasmissione elettronico, in cui gli elettroni vengono emessi da un sottile filamento di tungsteno incandescente. Questi elettroni vengono accelerati da un sistema di campi elettromagnetici e indirizzati attraverso un primo reparto di lenti (condensatore) e diretti sul campione in esame. Il fascio elettronico diffuso dal campione attraversa una lente magnetica (obiettivo) che forma un'immagine intermedia del campione. Questa immagine viene raccolta da un'altra lente magnetica (proiettore) che proietta l'immagine definitiva su uno schermo fluorescente o su una lastra fotografica. L'ingrandimento dipende essenzialmente dall'intensità di corrente che percorre le bobine del proiettore. 
In seguito si sono sviluppate altre importanti tecniche, capaci di visualizzare la natura intima della materia ed intervenire sui singoli atomi, operando una ricollocazione atomica controllata.

STM (Scanning Tunneling Microscope), microscopio ad effetto tunnel, in cui una particolare sonda costituita da una punta metallica (generalmente tungsteno) scorre su di una superficie senza mai toccarla direttamente. Si instaura una differenza di potenziale tra il fondo che genera corrente elettrica e la punta, generando così un effetto chiamato “effetto tunnel”. La punta segue la morfologia della superficie offrendone il profilo atomico, elaborato infine da un sistema di computerizzazione che ne restituisce un'immagine tridimensionale. Operando in modalità di manipolazione, è possibile aumentare l'intensità di corrente, facendo in modo che la punta attiri a se un determinato atomo che può essere rilasciato in seguito in un altro punto della superficie;

Schema di funzionamento del microscopio STM
 •AFM (Atomic Force Microscope), microscopio a forza atomica, anche in questo caso il sistema prevede lo scorrimento di una punta detta “cantilever” su di una superficie, ma in questo caso l'interazione elettronica porta ad un'oscillazione positiva o negativa (in alto o in basso) che viene rilevata da un sistema di laser che viene riflesso ed elaborato per offrire un'immagine tridimensionale del profilo atomico di una superficie;
Schema di funzionamento del microscopio AFM
 •FIB (Focused Ion Beam), fascio di ioni focalizzati, dove viene utilizzato un fascio focalizzato di ioni. Generalmente si utilizza una sorgente di ioni di gallio liquido (LMSI), posto a contatto con un ago di tungsteno e riscaldato. Il gallio inumidisce il tungsteno, ed un enorme campo elettrico fa emettere ed ionizzare gli atomi di gallio. Il FIB può pure essere associato in concomitanza al sistema SEM.
Microscopio FIB